Storia di un piccolo cuore d’argento
Immacolata (ex voto di scuola genovese del ‘700)
Parrocchiale di San Bartolomeo di Vallecalda (Genova)
Ho provato a morire due volte. La prima nel 1993 durante una devastante operazione al cuore, la seconda nel 2005. Racconterò come ne sono uscito l’ultima volta e il legame tra questa malattia e un ex voto. Devo premettere di non essermi mai acceso di passioni ecclesiali e di aver misurato il mio essere credente più col raziocinio che col sentimento. E tuttavia ho sempre creduto di essere parte di un progetto di cui credo che il buon Dio abbia scritto la trama. Così quando cala la notte dico: “Resta con me, Signore, si fa sera”. Con la mia storia devo però tornare agli anni Settanta, quando un editore mi chiede di curare due pubblicazioni sui Santuari e la pittura votiva in Liguria. Per visitare le chiese dedicate alla Vergine ho percorso la Liguria da Ventimiglia a Sarzana entrando nei luoghi dove venivo a sapere che i reietti della storia avevano costruito qualcosa per onorare chi credevano fosse sceso a visitarli dall’alto. I santuari risultarono 130: li ho visitati tutti, piccoli e grandi, famosi e sconosciuti, dotati di opere d’arte, dimenticati e disadorni. Durante questa lunga ricerca ho avuto talvolta l’impressione che certi luoghi dedicati alla Vergine fossero frutto più di impostura che di autentica fede, ma al tempo stesso si consolidava in me l’ opinione che in qualunque modo erano sorti, o dalla pietà dei cristiani o dall’imbroglio, sono diventati nel tempo, per gente senza altra risorsa che un grumo di speranza e di fede, luoghi dove deporre il carico delle sofferenze quotidiane per aprire il cuore alla speranza. Così, mentre all’inizio il mio raziocinio mi suggeriva di prendere le distanze da queste tematiche per non seminare trappole devozionali sul percorso dei lettori, pian piano ho imparato a guardare il retroscena non solo con l’occhio freddo dell’antropologo, ma disponibile a cogliervi la fatica del vivere, la paura della malattia e della sofferenza, della disgrazia e della morte. Arrivo ora alla sostanza del racconto. Una domenica di settembre del 2005 ho sentito lungo la schiena i brividi della febbre che in breve ha toccato la soglia dei 40. Diagnosi: broncopolmonite virale. Ma il virus non si conosce, perciò non si trova un antibiotico capace di combatterlo. La febbre non cala, anzi aumenta, i polmoni si riempiono d’acqua, la respirazione è difficile, il corpo è in preda a una spossatezza mai conosciuta prima. Faccio in tempo a vedere il volto dei miei cari poi precipito in un sopore pieno di incubi. Talvolta ho l’impressione che mi abbiano messo un sacchetto di plastica attorno alla testa e che l’aria mi venga a mancare a poco a poco. O che un enorme rullo compressore mi stia riducendo simile a un foglio di carta velina. Alla fine mi sento cadere in un buco nero, a testa in giù, come se un risucchio mi attirasse verso il basso. In un attimo di lucidità capisco che qualcosa di irreparabile sta per capitarmi e mi torna in mente il pensiero della sera: ”Resta con me, Signore, si fa buio”. Dopo alcuni giorni di incosciente sopore, nella notte mi sembra che una enorme ventosa mi aspiri verso l’alto, ma è una sensazione così labile e passeggera che non faccio in tempo a registrarla. Quando torno in me, mi trovo nel reparto rianimazione e sento il respiro a poco a poco assestarsi. Hanno bombardato a tappeto il mio corpo individuando il killer e costringendolo alla resa.
Sono andato più volte col pensiero, nella solitudine delle interminabili notti all’ospedale, su chi mi ha tirato fuori da quel buco, se la volontà caparbia di restare ancora in questo mondo, la professionalità dei medici, il caso o la fortuna, o se non ci sia stata la mano di qualcuna delle Madonne cercate nei santuari della Liguria. Il mio razionalismo mi portava a dire di no, a pensare che la protezione del Cielo da quella disavventura doveva restare fuori, che la visione miracolistica non era bagaglio della scienza medica, l’unica ad aver fatto il miracolo. Ma l’antica ambiguità tornava a sedurmi: “eri caduto troppo in basso per uscirne col solo aiuto dell’uomo: non ricordi la disperazione di scivolare a poco a poco in quel buco nero. Quale mano umana avrebbe potuto afferrarti e trascinarti fuori, proprio all’ultimo istante?” Alla fine il sentimento ha avuto la meglio. Appena mi sarà possibile andrò a comprare un cuoricino d’argento e lo poserò davanti alla Madonnina che sta sopra il coro della chiesa dove sono stato battezzato. E’stata messa lì nel 1788 per iniziativa, e a loro spese, dalle donne della parrocchia: c’era un morbo maligno in giro nella valle e il paese doveva esserne preservato. Così è stato.
Giovanni Meriana
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